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Discussione: Cambiamenti climatici dell'ultimo mezzo secolo -

  1. #21
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    “Quest’ultima ricerca conferma come le vette siano raggiunte dai cambiamenti climatici causati dall’uomo e funge da campanello d’allarme per altri sistemi di ghiacciai di alta montagna e i potenziali impatti con il declino della massa dei ghiacciai – ha affermato Paul Andrew Mayewski, glaciologo e direttore dell’Istituto per il cambiamento climatico dell’Università del UMaine, che era il capo spedizione sul ghiacciaio del Colle Sud – . Tutto risponde a una delle grandi domande poste dalla nostra spedizione: se i ghiacciai più alti del pianeta siano influenzati dai cambiamenti climatici. E la risposta è un sonoro sì, e in modo molto significativo dalla fine degli Anni '90”.


    Le simulazioni al computer hanno indicato che la perdita di massa superficiale per fusione o vaporizzazione può accelerare di un fattore superiore a 20 quando il manto nevoso lascia il posto al ghiaccio. E mentre l’aumento delle temperature ha causato la maggior parte della sublimazione, anche il calo dell’umidità relativa e i venti più forti sono fattori che contribuiscono alla perdita di massa del ghiacciaio. “Le previsioni climatiche per l'Himalaya suggeriscono un riscaldamento continuo e una permanente perdita di massa del ghiacciaio – ha aggiunto Mariusz Potocki, glaciochimico del Climate Change Institute e autore principale dello studio – . Anche la cima dell’Everest è influenzata dal riscaldamento antropico”.




    NASA IMAGES FONTE --

  2. #22
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    Un inverno caldo sull’Everest

    “Una significativa area dei ghiacciai sta sperimentato con alta probabilità fasi di scioglimento nel corso di tutto l’anno – spiega Mauri Pelto, glaciologo presso il Nichols College di Dudley, Massachusetts – . Negli anni passati, in massima parte lo scioglimento si fermava durante l’inverno e la linea delle nevi restava immobile. Quest’anno la situazione è decisamente diversa”.
    La stagione dello “scioglimento” dei ghiacci (ablazione) nella regione dell’Everest si concentra solitamente nel periodo dei monsoni, dunque tra aprile e settembre. A ottobre 2020 le temperature non hanno accennato ad abbassarsi, motivo per cui lo scioglimento si è esteso di ulteriori 4 mesi. Il 22 gennaio 2021 le stazioni meteo presenti al campo base dell’Everest hanno riportato temperature massime oltre lo zero per 8 giorni da inizio mese. Il 13 gennaio si è raggiunta la temperatura più elevata diurna, pari a 7°C.

    “Praticamente siamo di fronte a condizioni primaverili o estive nel bel mezzo dell’inverno – dichiara Tom Matthews, climatologo della Loughborough University (UK) – . Questi scioglimenti fuori tempo sono associati a flussi di aria più calda trasportati dai venti da Ovest”.
    Accanto allo scioglimento della neve il team di Matthews ha anche osservato minori accumuli nevosi durante la stagione monsonica. Solitamente è in estate, con l’arrivo dei monsoni, che si accumula sulla regione il 75% della neve annuale. Invece dal 2019 è stato notato un aumento estivo di piogge e fenomeni di scioglimento, con contemporanea diminuzione delle nevicate. Di conseguenza, le insolite temperature miti invernali, vanno a sciogliere neve accumulatasi prima della stagione monsonica.

    C’è da allarmarsi?

    La risposta secondo Pelto è sì. “Ho già assistito a fasi di assenza di precipitazioni nevose nel mese di gennaio in precedenza, ma c’è da dire che solitamente il limite delle nevi non è mai stato localizzato così in alto”. Per sistemare la situazione sarebbe necessario un abbassamento delle temperature con contemporaneo ritorno di intense nevicate. Condizioni che consentirebbero di arrestare lo scioglimento in corso.
    Dal 23 gennaio le temperature massime sono in realtà scese nuovamente sotto lo zero. Ma l’intensità delle nevicate non è aumentata e l’aria risulta ancora troppo secca. Cosa succede in tali condizioni? Che le temperature basse portano la neve a sublimare, passando direttamente dallo stato solido a quello gassoso, con effetto di ridurre ulteriormente la copertura nevosa.
    “Non credo che lo scioglimento si arresterà a breve – conclude Pelto, evidenziando che finché persisteranno tali condizioni meteo, si assisterà a scioglimento dei ghiacci e sublimazione della neve – . Risulta evidente che sui ghiacciai di tal quota si stia progressivamente assistendo a un allungamento della stagione dell’ablazione e a una espansione dell’area interessata dal fenomeno”.

  3. #23
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  4. #24
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    Fasi fredde del passato causate da scioglimento di spessi ghiacci artici

    Dopo la fine dell’ultima era glaciale, ci sono state infatti diverse fasi fredde che la maggior parte dei ricercatori ha avuto difficoltà a spiegare.
    In particolare un periodo molto freddo, avvenuto circa 12.900 anni fa, conosciuto come il Dryas recente, è risultato in tal senso abbastanza problematico da spiegare tanto che diversi scienziati hanno proposto impatti di meteoriti o pesanti eruzioni vulcaniche globali per spiegare il cambiamento.
    Qualcuno ha anche pensato che ad innescare il Dryas recente sia stato il prosciugamento del lago Agassiz, un grande lago glaciale che si trova nei pressi della calotta di ghiaccio che si estendeva in passato dal sud dell’Artico fino all’area dell’odierna New York.
    Secondo Alan Condron e Raymond Bradley, due degli autori dello studio, sarebbe invece la rottura periodica del ghiaccio del Mar glaciale Artico ad influenzare notoriamente il clima globale e ad indurre a questi periodi freddi.
    Questo ghiaccio, sciogliendosi, provocherebbe inondazioni di acqua dolce nei mari nei pressi della Groenlandia, della Norvegia e dell’Islanda, cosa che sarebbe avvenuta più volte tra 13.000 e 8000 anni fa.
    Questi processi avrebbero rallentato un’importante corrente oceanica denominata “capovolgimento meridionale della circolazione atlantica” (AMOC), che porta acqua salina calda verso il nord dell’Atlantico e spinge acqua dolce fredda a sud.
    Il quantitativo di acqua fredda e fresca, in particolare, sarebbe stato così alto durante queste fasi da innescare bruschi raffreddamenti globali, come quello del Dryas recente.
    Si tratterebbe di un quantitativo così alto che supererebbe anche l’ipotesi del lago Agassiz, il cui quantitativo di acqua non sarebbe stato sufficiente ad innescare un fenomeno di raffreddamento globale.

    “I nostri risultati mostrano che il ghiaccio proveniente dall’Oceano Artico stesso potrebbe aver svolto un ruolo importante in causando bruschi cambiamenti climatici in passato”, spiegano i ricercatori.
    Anche perché in passato l’Oceano Artico era coperto da strati di ghiaccio molto più spessi di quelli che abbiamo potuto vedere negli ultimi decenni, diventati sempre più piccoli a causa del riscaldamento globale in corso. Quantitativi di acqua dolce così grandi da riuscire a rallentare l’AMOC e introdurre globalmente un clima più fresco.


  5. #25

  6. #26
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    Clima eCambiamenti Climatici
    le attivitàdi ricercadel CNR
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    Consiglio Nazionaledelle RicerchClima eCambiamenti Climatici
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  7. #27
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    Aspetti paleoclimatici
    Lo studio del paleoclima ci indica che l’olocene è stato interessato da episodi caldi (gli optimum postglaciali) fra cui rammentiamo il grande optimum postglaciale, l’optimum miceneo, l’optimum romano, l’optimum medioevale e la fase di riscaldamento attuale. A tali fasi si sono alternate fasi di “deterioramento” segnate da cali termici ed avanzate glaciali. Per inciso l’uso di “optimum” e “deterioramento” non è affatto casuale e gli optimum erano così chiamati i quanto la vita era più facile, la mortalità più ridotta e le fonti di cibo ed energia più abbondanti. Lo stesso padre spirituale della teoria dell’Anthropogenic Global Warming (AGW), Svante Arrhenius, vedeva nel riscaldamento globale da CO2 un fenomeno positivo poiché in grado di rendere più vivibili e meglio fruibili per l’uomo i gelidi areali nordeuropei, sogno questo che si starebbe oggi avverando.
    Sul trend di +0.85°C non possiamo invece escludere l’influenza umana legata all’emissione di gas serra di origine antropica (anidride carbonica, metano, protossido d’azoto) cui si sovrappongono fenomeni naturali come l’attività solare. In tal senso fra le possibili interpretazioni citiamo quella di Ziskin & Shaviv (2012) i quali applicando un Energy Balance Model, hanno stimato che il 60% del trend crescente delle temperature osservato nel XX secolo è di origine antropica ed il 40% e di origine solare. Anche se la scienza non procede di regola per “colpi di maggioranza”, occorre evidenziare che le valutazioni di Ziskin & Shaviv sono confortate dal fatto che il 66% dei 1868 ricercatori operanti in ambito climatologico e intervistati da Verheggen et al. (2014) ha espresso l’idea che le attività antropiche siano all’origine di oltre il 50% dell’aumento delle temperature globali registrato dal 1950 ad oggi.

    Occorre evidenziare che la salita delle temperature fino ai valori odierni è stata tutt’altro che continua, nel senso che a un trend di incremento pari a +0.85°C dal 1850 ad oggi si è costantemente sovrapposta una ciclicità sessantennale che ha mostrato minimi negli anni 1850, 1910, 1977 e massimi negli anni 1878, 1945 e 1998. Inoltre si è assistito ad una accentuata variabilità interannuale con la rapida alternanza di annate più calde e più fredde.
    Oggi sappiamo che la ciclicità sessantennale è imposta da una ciclicità delle temperature marine che per il Nord Atlantico è espressa dall’indice AMO, fenomeno del tutto naturale, la cui presenza è dimostrata per lo meno per gli ultimi 8000 anni (Knudsen et al 2011). La grande variabilità interannuale è anch’essa un fenomeno del tutto naturale e che deriva dall’alternarsi di regimi circolatori diversi. La sua presenza anche remota ci è mostrata ad esempio dalla serie storica delle date di vendemmia in Borgogna dal 1370 ad oggi (Labbé e Gaveau, 2013).


    Dopo la fine della piccola era glaciale, fase fredda che ha interessato più direttamente il periodo compreso fra il XVII e la prima metà del XIX secolo, le temperature globali hanno ripreso a salire (“grazie a Dio”, perché fare agricoltura prima che la “perfida azione dell’uomo” iniziasse ad alterare il clima era assai più proibitivo rispetto ad oggi).
    Circa l’andamento delle temperature globali al suolo, secondo il dataset internazionale Hadcrut4 per il periodo 1850-2015 (CRU di East Anglia University e Hadley Center), ad una fase di aumento che ha avuto il proprio apice nel 1878 (+0.5°C rispetto al 1850) ha fatto seguito una fase di decremento con minimo nel 1911 (-0.2°C rispetto al 1850). Ad un nuovo incremento fino al 1945 (che si è collocato a +0.5°C rispetto al 1850) è seguita una diminuzione protrattasi fino al 1976 (anno che a livello globale si colloca a soli +0.1°C rispetto al 1850). Dal 1977 al 1998 le temperature globali sono di nuovo aumentate portandosi nel 1998 a +0.85°C rispetto al 1850. Dal 1998 ad oggi infine si è osservato un lieve aumento residuo che tuttavia non trova conferma nei dati da satellite MSU relativi alla bassa troposfera, e che indicano piuttosto la sostanziale stazionarietà delle temperature globali dopo il 1998.

  8. #28
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    I cambiamenti climatici a lungo termine sono compresi dai dati accumulati dall'osservazione meteorologica basata sulla stazione, dai palloni meteorologici, dalle misurazioni della temperatura oceanica, dai satelliti e da altre fonti di navi e boe. Una vasta gamma di informazioni è ora disponibile sotto forma di dati grigliati e rianalisi. I grafici seguenti sono costituiti da questi ultimi prodotti di dati e descrivono le anomalie climatiche degli ultimi due decenni per temperatura, precipitazioni, velocità del vento vicino alla superficie, pressione media sul livello del mare e ghiaccio marino. L'"anomalia" climatica rappresenta l'allontanamento dalle climatologie di base a lungo termine. Le linee di base comunemente utilizzate includono 1901-2000 (secolo intero), 1979-2000 (periodo storico recente prima del riscaldamento significativo nell'Artico) e 1981-2010 (l'attuale clima normale come definito dall'Organizzazione meteorologica mondiale ).

  9. #29
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  10. #30
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